Composizione negoziata: come cambia il rapporto con le banche nella crisi d’impresa

Composizione negoziata: come cambia il rapporto con le banche nella crisi d’impresa

Luca Filipponi  Avv. Luca Filipponi – Dott. Comm. Angelo Galizzi – 16 novembre 2021

[Articolo pubblicato da IPSOA Quotidiano, Dossier “Crisi e risanamento aziendale: le possibili soluzioni” – a cura di AP & Partners, accessibile al seguente LINK]

La composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa incide sui rapporti con le banche. Il D.Lgs. n. 118 del 2021 dispone, infatti, una serie di norme cui gli intermediari finanziari debbono conformarsi qualora l’impresa accedesse alla composizione finanziaria o richiedesse le misure protettive. Tra queste, l’inibizione della revoca degli affidamenti motivata esclusivamente dall’accesso alla procedura di composizione negoziata, la possibilità per i crediti la cui genesi sia anteriore alla pubblicazione dell’istanza per le misure protettive di non essere pagati senza che ciò consenta al creditore in bonis di reagire con gli ordinari strumenti contrattuali di tutela quali risoluzione, nonché la possibilità per il giudice di rideterminare equamente i rapporti bancari pendenti.

Il D.L. n. 118/2021, convertito con modificazioni dalla legge n. 147/2021, ha introdotto la nuova procedura di composizione negoziata per la soluzione della crisi di impresa, in vigore dal 15 novembre, rivolta al soggetto che si trovi in situazione di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario e finalizzata a favorire l’emersione anticipata della situazione di probabile crisi o insolvenza e l’individuazione di una soluzione concordata con gli stakeholders. Nell’ambito di tale procedura, diverse disposizioni incidono direttamente sui rapporti bancari.

Revoca degli affidamenti

Innanzitutto, l’art. 4 co. 6 impone alle banche e agli intermediari finanziari, compresi i mandatari e i cessionari dei relativi crediti, di partecipare alle trattative in modo attivo ed informato, ed inibisce la revoca degli affidamenti motivata esclusivamente dall’accesso alla procedura di composizione negoziata. Tale disposizione rafforza l’obbligo generale, previsto dall’art. 4 co. 7, di tutte le parti coinvolte nelle trattative di collaborare lealmente e in modo sollecito, nonché di dare riscontri tempestivi e, soprattutto, motivati alle proposte e richieste provenienti dall’imprenditore. Il creditore bancario è quindi obbligato a tenere una condotta proattiva finalizzata a favorire la composizione, il che potrebbe giustificare un maggior rigore nella valutazione di una possibile responsabilità precontrattuale, che travalichi l’applicazione del semplice canone della buona fede.

Crediti sorti prima e dopo l’istanza di applicazione delle misure protettive

Altra disposizione particolarmente rilevante per le banche è quella prevista dall’art. 6 co. 5, a mente del quale il creditore che risulti interessato da misure protettive – che l’imprenditore ha facoltà di ottenere con efficacia immediata sin dal momento della pubblicazione nel registro delle imprese della relativa istanza, salvo successivo vaglio del giudice, così inibendo l’acquisizione unilaterale di diritti di prelazione e l’intrapresa o la prosecuzione di azioni esecutive – non può rifiutare l’adempimento dei contratti pendenti, provocarne la risoluzione, anticiparne la scadenza o modificarli in danno dell’imprenditore per il solo fatto del mancato pagamento dei loro crediti anteriori. L’espresso riferimento alla impossibilità di anticipare la scadenza delle obbligazioni, esclude che la banca possa ricorrere al meccanismo della decadenza dal beneficio del termine ex art. 1186 c.c., nonostante l’emersione del rischio di insolvenza e persino se vi sia già stata la violazione dei termini di rientro.

La pubblicazione della istanza di applicazione delle misure protettive determina pertanto uno spartiacque, per certi versi assimilabile alla pubblicazione del ricorso ex art. 161 l.f., tra:

crediti la cui genesi sia ad essa anteriore, che risultano sì pagabili dall’imprenditore, purché nel rispetto dei criteri di gestione dell’impresa previsti dall’art. 9, ma possono essere non pagati senza che ciò consenta al creditore in bonis di reagire con gli ordinari strumenti contrattuali di tutela quali risoluzione, decadenza dal beneficio del termine, recesso; e

crediti sorti successivamente, che invece restano liberamente tutelabili sia a livello contrattuale sia, a nostro avviso, in sede esecutiva, in analogia con quanto sostenuto dalla giurisprudenza prevalente in caso di ricorso per concordato preventivo.

Conflitto con la teoria giurisprudenziale

Tale obbligo della banca di mantenere in essere le linee di credito esistenti appare confliggere con la teoria giurisprudenziale che, all’opposto, configura tale condotta come illecita, in quanto adottata in violazione dei doveri di diligenza, e foriera di responsabilità risarcitoria. La citata norma, infatti, impone alla banca, nella fase iniziale della crisi in cui ancora non sussiste alcun piano di salvataggio, la condotta “virtuosa” di mantenere in essere le linee di credito, non solo in presenza di probabile crisi o insolvenza, ma addirittura in caso di inadempimento già realizzatosi. Tale obbligo, che dovrebbe quindi costituire il criterio di base informante la condotta della banca al fine di non pregiudicare le seppur solo eventuali e del tutto ipotetiche possibilità di risanamento, non appare quindi coerente con il recente filone giurisprudenziale (Cass. 18610/2021) secondo il quale, nella situazione descritta dalla norma in parola, la banca sarebbe al contrario obbligata a revocare le linee di credito, salvo che sussista un credibile piano di salvataggio già formato e documentabile.

In sintesi, a mente della disciplina introdotta con il D.L. n. 118/2021 siccome convertito con la l. n. 147/2021, in caso di incertezza sulla possibilità di salvataggio e ancor prima che sia individuata una possibile soluzione, il legislatore impone alla banca di mantenere le linee di credito, mentre la giurisprudenza le impone di revocarle. Atteso che l’unico discrimine tra le due fattispecie è costituito dalla decisione dell’imprenditore di richiedere l’applicazione delle misure protettive, non si comprende come la medesima condotta della banca possa subire dalla giurisprudenza una valutazione di disvalore del tutto opposta a quella sancita dalla nuova normativa, tale da renderla persino foriera di responsabilità risarcitoria, a causa di una scelta unilaterale dell’impresa!

Equa rideterminazione delle condizioni

Inoltre, un particolare impatto sui rapporti bancari pendenti, in quanto contratti ad esecuzione continuata o periodica (come le aperture di credito) ovvero ad esecuzione differita (quali i mutui), è prevista dall’art. 10 co. 2, che prevede la possibilità per il giudice, per tali tipologie di contratti, di rideterminare equamente le condizioni, evidentemente per la parte ancora da eseguirsi, se la prestazione è divenuta eccessivamente onerosa per effetto della pandemia da Covid-19. Tale rideterminazione può essere effettuata su domanda dell’imprenditore, acquisito il parere dell’esperto e nel contraddittorio con il contraente in bonis, e si applica per il periodo strettamente necessario e come misura indispensabile ad assicurare la continuità aziendale. In presenza di tali rigorosi presupposti la banca è tenuta a subire tale variazione delle condizioni contrattuali, potendo eventualmente ottenere la corresponsione di un indennizzo.

La formulazione della norma non chiarisce se il contraente possa sottrarsi all’applicazione delle condizioni rideterminate, recedendo dal rapporto laddove sussista tale facoltà. Si è già visto che, in caso di applicazione delle misure protettive che interessino il contraente, l’esercizio della facoltà di recesso è inibito in relazione ai rapporti avente radice causale anteriore.

Nell’ipotesi in cui non sia stata chiesta l’applicazione di tali misure, anche al fine di evitare la conseguente pubblica disclosure della situazione dell’impresa, deve comunque ritenersi che la norma non consenta il recesso se motivato dalla rideterminazione delle condizioni contrattuali, stante la sua intrinseca equità, mentre sarebbe consentito se motivato dall’inadempimento già realizzatosi ovvero dal manifestato rischio di insolvenza.

Pare potersi concludere che tale rideterminazione sia destinata ad operare necessariamente solo entro il termine di pendenza della procedura, giacché al suo esito, a mente dell’art. 12, conservano i propri effetti solo gli atti autorizzati dal tribunale a norma del primo comma dell’art. 10 e non la rideterminazione prevista dal secondo comma di tale articolo. Una prima interpretazione della norma consente pertanto di affermare che il tribunale deve indicare il periodo strettamente necessario ed indispensabile di efficacia della rideterminazione, comunque entro il termine di pendenza della procedura di composizione negoziata, all’esito della quale il contratto non interessato dalla rinegoziazione tornerà ad essere disciplinato dalle condizioni previgenti.

Va poi segnalato che la disciplina degli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa di cui al nuovo art. 182-septies e della convenzione di moratoria di cui al nuovo art. 182-octies l.f. prevedono che in nessun caso al creditore non aderente può essere imposto il mantenimento della possibilità di utilizzare affidamenti esistenti, il che esclude che la banca non aderente possa essere tenuta a mantenere in essere gli affidamenti, anche alle condizioni rideterminate.

Autorizzazione a contrarre finanziamenti prededucibili

Per quanto concerne, infine, la nuova finanza, come accennato l’art. 10 prevede che il tribunale possa autorizzare l’imprenditore a contrarre finanziamenti prededucibili se funzionali alla continuità aziendale e alla migliore soddisfazione dei creditori. Tali finanziamenti conservano i loro effetti, a mente dell’art. 12 c. 1, in caso di successiva procedura concorsuale, incluso il fallimento.

Tuttavia, va doverosamente posto in rilievo come, in assenza di una necessaria e non più procrastinabile armonizzazione tra la normativa interna tesa ad incentivare tali finanziamenti e la vigente normativa di Vigilanza Europea cogente verso il sistema bancario, l’eventuale erogazione di nuova finanza, ancorché “protetta” (ad esempio da azioni revocatorie) e qualificabile come prededucibile, a favore di un’impresa classificata in Stage 3 (in conseguenza al deterioramento dei crediti pregressi) comporterebbe costi per la banca in termini di assorbimento patrimoniale ed accantonamento in conto economico tali da renderla non accoglibile, nonostante la potenziale sussistenza del merito di credito, poiché svantaggiosa per l’istituto dal punto di vista economico-patrimoniale.

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