L’autorizzazione al mantenimento del piano di ammortamento dei mutui ipotecari nel concordato preventivo in continuità

L’autorizzazione al mantenimento del piano di ammortamento dei mutui ipotecari nel concordato preventivo in continuità

Luca Filipponi  Avv. Luca Filipponi – 27 settembre 2021

L’art. 20, comma 1, lett. d), n. 2), del D.L. 118/2021 ha innovato la disciplina relativa al pagamento del mutuo ipotecario nei concordati con continuità aziendale e negli accordi di ristrutturazione dei debiti introdotti a decorrere dal 25 agosto 2021. Segnatamente, è stato inserito il nuovo comma 6 nell’art. 182-quinquies della Legge Fallimentare, dedicato alla disciplina dell’aspetto finanziario della continuità aziendale. Tale nuovo comma prevede che la disciplina dettata per l’autorizzazione al pagamento dei crediti concorsuali spettanti ai creditori c.d. strategici, disciplinato dall’art. 182-quinquies comma 5, sia applicabile anche alle rate a scadere del mutuo ipotecario, e ciò in deroga alla previsione di cui all’art. 55 comma 2, a mente del quale le obbligazioni a carico del debitore in concordato si considerano scadute alla data del deposito del ricorso.

È infatti noto che il contratto di mutuo non rientra tra i contratti pendenti, disciplinati per il concordato dall’art. 169-bis l.fall., in quanto tale categoria, secondo l’opinione maggioritaria – oggi avallata dalla definizione che ne da all’art. 97 il nuovo Codice della Crisi d’Impresa che, seppur non ancora entrato in vigore, esercita una funzione orientativa dell’interpretazione della disciplina vigente –  comprende unicamente i contratti che, alla data dell’apertura della procedura, vedano obbligazioni ancora da eseguirsi a carico di entrambe le parti. I contratti nei quali la prestazione principale sia già stata integralmente eseguita, e in cui residui unicamente la obbligazione di pagamento del corrispettivo a carico di una sola parte, danno luogo ad un mero debito di fonte contrattuale. Nel caso specifico del mutuo, la obbligazione di restituire il capitale e gli interessi a rate prefissate, costituisce una mera dilazione temporale del debito, come tale soggetta alla scadenza immediata prevista dall’art. 55 l.fall. in caso di apertura di una procedura concorsuale.

Tale immediata scadenza rappresenta un gravoso impegno finanziario per l’azienda in crisi, potenzialmente di per sé idoneo a comprometterne la continuità aziendale. È noto, infatti, che la disciplina del concordato preventivo prevede di regola il pagamento di tutti i crediti assistiti da privilegio, pegno o ipoteca immediatamente dopo l’omologazione. La legge fallimentare prevede due disposizioni in grado di attenuare il rigore di tale disciplina. La prima è rappresentata dalla possibilità, prevista dall’art. 160, comma 2, di degradare a chirografo la parte del credito privilegiato che non risulti avere capienza sulla base della stima del valore di mercato del bene su cui grava la garanzia. La seconda è costituita dalla previsione di cui all’art. 186 bis, co. 2, lett. c) che consente al debitore di imporre una moratoria (originariamente di un anno, ora portata due anni dalla novella di agosto) per il pagamento di tutti i creditori privilegiati, sia generali che speciali, salvo che i beni vincolati a prelazione debbano essere liquidati.

Tale norma, in ogni caso, attenua ma non risolve il problema finanziario che deriva dal dover rimborsare in un anno – ed ora al massimo in due, ai sensi dell’art. 20, co. 1, lett. g) del D.L. 118/2021 – l’intero capitale residuo derivante da un contratto di mutuo il cui piano di ammortamento potrebbe avere avuto una durata contrattuale significativamente superiore alla durata di esecuzione del piano concordatario, garantito da beni strumentali e quindi non destinati alla liquidazione. Ci si è dunque chiesti se tale norma consentisse anche una moratoria di durata superiore. A tale riguardo si contrapponevano due tesi. Una prima tesi, più rigorosa, negava tale possibilità, e consentiva la dilazione di pagamento dei crediti privilegiati solo attraverso la stipula di patti paraconcordatari. Una seconda tesi, invece, seguita dalla Corte di Cassazione (v. Cass. 10112/2014, 20388/2014, 17461/2015) riteneva configurabile tale dilazione consentendo però, in tal caso, ai creditori privilegiati il diritto di voto. In tale seconda ipotesi si discuteva di quale potesse essere l’ammontare per cui si è ammessi al voto, se cioè per l’intero credito o solo per una quota da determinarsi secondo un criterio ricollegabile al pregiudizio subito dalla dilazione. Secondo la giurisprudenza prevalente, il creditore privilegiato “dilazionato” è ammesso al voto per un ammontare pari alla perdita economica subita, che va accertata di fatto dal Tribunale sulla base della attestazione, tenendo conto degli eventuali interessi offerti al creditore e dei tempi tecnici di realizzo dei beni gravati nella ipotesi liquidatoria, oltre che del contenuto concreto della proposta nonché della disciplina degli interessi di cui agli artt. 54 e 55 l.f.

Nel frattempo, è intervenuto il Codice della Crisi d’Impresa che all’art. 86, rubricato “Moratoria nel concordato in continuità”, prevede una moratoria fino a due anni e stabilisce che i creditori “dilazionati” «hanno diritto al voto per la differenza fra il loro credito maggiorato degli interessi di legge e il valore attuale dei pagamenti previsti nel piano calcolato alla data di presentazione della domanda di concordato, determinato sulla base di un tasso di sconto pari alla metà del tasso previsto dall’art. 5 del decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, in vigore nel semestre in cui viene presentata la domanda di concordato preventivo».

Sulla base anche di tale previsione, il più recente orientamento, espresso da Cass. 11882/2020, conferma la possibilità di prevedere una dilazione ultra annuale del pagamento dei crediti privilegiati, purché in tal caso al creditore siano corrisposti gli interessi ed egli sia chiamato ad approvare la proposta di concordato previo inserimento in un’apposita classe, per un credito parametrato sulla base del differenziale tra il valore del credito al momento della presentazione della domanda di concordato e quello al momento del termine della moratoria. Tale criterio deve essere esplicitato nel piano concordatario e certificato nella sua effettività e veridicità dal professionista, a pena di inammissibilità della proposta.

Si manifesta quindi la consapevolezza che tale strumento può prestarsi ad abusi, da cui la necessità di una stringente motivazione, della chiara indicazione dei criteri e della attestazione. E in effetti attraverso la previsione della dilazione di pagamento, viene alterato il quorum necessario all’approvazione del piano ammettendo al voto creditori privilegiati, tipicamente appartenenti al ceto bancario, i quali, a differenza dei chirografari, non subiscono la falcidia concordataria, per cui può prevedersi che la relativa classe, se prevista, sia propensa ad approvare il piano.

In tale quadro si inserisce la novella del D.L. 118/2021, che se da un lato ha portato, come visto, a due anni la moratoria generale prevista ex lege dall’art. 186 bis, co. 2, lett. c), d’altro lato con specifico riferimento al contratto di mutuo con garanzia reale su beni strumentali all’esercizio dell’impresa, consente al debitore di mantenere intatto il piano di ammortamento vigente al momento dell’apertura del concorso.

Tale beneficio è sottoposto a molteplici condizioni. Innanzitutto, è necessario che il piano di ammortamento sia stato regolarmente adempiuto. In caso contrario, il debitore deve farsi autorizzare al pagamento immediato degli importi scaduti, per capitale ed interessi, alla data di apertura della procedura. Soddisfatto tale requisito, il mantenimento del piano è sottoposto alla medesima disciplina di cui al comma 5 dell’art. 182-quinquies, e richiede pertanto la autorizzazione del tribunale, previa la attestazione del professionista in possesso dei requisiti di cui all’articolo 67, terzo comma, lettera d), che il mantenimento in essere del piano di pagamento è essenziale per la prosecuzione della attività di impresa e funzionale ad assicurare la migliore soddisfazione dei creditori. Può apparire paradossale che l’attestazione di essenzialità e funzionalità, che nella previsione di cui al comma 5 è finalizzata alla autorizzazione di un pagamento altrimenti vietato, nel nuovo comma 6 sia finalizzata alla autorizzazione alla dilazione di un pagamento altrimenti dovuto. In realtà tale scelta appare del tutto razionale, in quanto in ultima analisi la valutazione è la medesima, dovendosi intendere la essenzialità come impraticabilità di una soluzione alternativa che consenta la continuità aziendale, e la funzionalità come inesistenza di una migliore alternativa per i creditori.

La novella precisa che il professionista deve inoltre attestare che il credito garantito potrebbe essere soddisfatto integralmente con il ricavato della liquidazione del bene effettuata a valore di mercato e che il rimborso delle rate a scadere non lede i diritti degli altri creditori. Tale disposizione presuppone evidentemente che, se il valore del bene non risultasse capiente, dovrebbe procedersi alla degradazione a chirografo della parte di credito che risultasse non garantita. Infatti, in tale ipotesi, il pagamento integrale secondo l’originario piano di pagamento potrebbe determinare una lesione della par condicio, in quanto il mutuante vedrebbe pagata integralmente anche la porzione di credito degradata a chirografo, in spregio agli altri creditori chirografari falcidiati.

Così sinteticamente tratteggiata la nuova disciplina, si evidenzia che essa introduce elementi fortemente innovativi, e non scevri da nuove problematiche applicative. La novità più rilevante, rispetto all’elaborazione giurisprudenziale della moratoria ultrannuale, è dato dal fatto che i creditori ipotecari per i quali viene mantenuto il piano di ammortamento non risultano avere diritto al voto. Tale opzione discende evidentemente da un cambio di prospettiva: se la giurisprudenza maturata in assenza della disposizione di cui si tratta valutava la moratoria “ultra annuale” quale deviazione pregiudizievole rispetto alla regola del pagamento all’omologazione del debito privilegiato scaduto, e quindi tale da giustificare il diritto di voto, il legislatore della novella ha invece ritenuto che l’integrale pagamento dell’eventuale scaduto e il mantenimento in essere del piano di ammortamento negoziato nonché della garanzia ipotecaria, in un quadro di auspicato risanamento del debitore, consenta di escludere la sussistenza di un pregiudizio del creditore.

Già ad una primissima analisi, si pongono comunque alcune questioni. La prima consiste nella possibilità, o meno, di concorso tra una parziale degradazione del credito ex art. 160 co. 2, e il mantenimento in essere del piano di ammortamento con riferimento alla parte di credito che resta ipotecaria. La lettera della norma, laddove impone l’attestazione che il credito garantito potrebbe essere “integralmente” soddisfatto con il ricavato della liquidazione del bene, pare escludere tale possibilità, sicché il mantenimento del piano di ammortamento potrebbe applicarsi esclusivamente ai crediti che trovino integrale capienza nei beni vincolati a loro garanzia. Nelle altre ipotesi, potrebbe continuare a trovare applicazione l’istituto giurisprudenziale della moratoria di durata superiore ai due anni, con conseguente smembramento del credito in tre parti: una parte ipotecaria, una degradata a chirografo e soggetta quindi a falcidia, ed una comprendente il credito relativo al pregiudizio conseguente alla moratoria, non falcidiato. Ma non si può escludere che la norma possa essere interpretata in modo più elastico, che consenta il concorso dei due istituti ex art. 160 co. 2 e ex art. 182-quinquies co. 6 in relazione al medesimo credito; in tal caso però il piano di ammortamento andrebbe rimodulato in considerazione del minor credito ipotecario.

Una seconda questione attiene alla possibilità di escludere la lesione della par condicio nei casi in cui la durata dell’ammortamento superi l’orizzonte temporale di esecuzione del concordato. Va infatti tenuto presente che questa novella introduce la anomalia di un credito integralmente concorsuale che viene pagato in termini potenzialmente più lunghi rispetto alla prevista durata della fase post omologazione di esecuzione del piano. Quantomeno per il periodo successivo alla chiusura di tale fase, la provvista necessaria al pagamento delle rate del mutuo non deriverebbe dal patrimonio destinato alla soddisfazione dei creditori concorsuali ma dai flussi prodotti dall’azienda ormai risanata. Va peraltro tenuto presente che non risulta, ad oggi, ancora risolta la problematica relativa alla qualificazione dei  flussi generati dalla prosecuzione dell’attività d’impresa successivamente al deposito della domanda di concordato quale finanza c.d. nuova o esterna rispetto all’attivo esistente in quel momento. In senso favorevole, si v. C.App. Venezia 19/07/2019; contra, Trib. Monza 23/09/2020. Se si convenisse che il rispetto dell’ordine delle prelazioni, principio indefettibile nel concordato liquidatorio, nel concordato in continuità va limitato al solo periodo di esecuzione del piano e riferito peraltro al patrimonio esistente alla data di apertura della procedura, potrebbe allora concludersi che il pagamento secondo l’originario  piano di ammortamento, per la porzione che si protragga oltre la chiusura della esecuzione del piano, non inciderebbe sul vincolo di destinazione del patrimonio concordatario al soddisfacimento degli altri crediti concorsuali. In tale ipotesi, ci si chiede se la attestazione del professionista relativa alla assenza di lesione dei diritti degli altri creditori possa far leva su tale logica.

Ci si chiede infine quali strumenti di tutela siano a disposizione del mutuante, tipicamente una banca, nell’ipotesi in cui, dopo il completamento dell’esecuzione del piano e scaduto il termine per la proposizione della domanda di risoluzione del concordato, si verifichi l’inadempimento del mutuatario. Potrà essere fatta valere la garanzia ipotecaria attraverso un’esecuzione individuale? Fino ad oggi, il creditore anteriore che intendesse escutere delle garanzie preesistenti, doveva passare necessariamente attraverso la risoluzione del concordato, soluzione che non sarebbe più esperibile nella ipotesi in parola. Non risulta che vi sia una specifica previsione a tale riguardo. Una possibile soluzione è quella di ritenere che la espressa deroga all’art. 55 l.fall. legittimi una applicazione analogica dei meccanismi previsti per i contratti pendenti (si pensi ad esempio al leasing), con conseguente esperibilità dei normali rimedi contrattuali e procedurali spettanti alle parti nei rapporti tra contraenti in bonis.

[Articolo pubblicato da Italia Oggi, “La Crisi d’impresa”, Serie Speciale n. 10 anno 31 del 23 ottobre 2021, pag. 277]

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