Il mutuo a ripianamento di passività verso lo stesso istituto di credito: tra riqualificazione e rispetto della libertà negoziale
Avv. Alice Schiavon – 30 gennaio 2023
Avv. Alice Schiavon – 30 gennaio 2023
La giurisprudenza, di merito e legittimità, ha lungamente dibattuto in merito alla legittimità della fattispecie del mutuo ipotecario erogato dall’istituto di credito per ripianare debiti pregressi del mutuatario nei confronti dello stesso istituto mutuante. In particolare, si ponevano dubbi sotto il profilo della liceità della causa, ovvero della possibile simulazione dell’intera operazione, sul presupposto che tale finanziamento non creerebbe una effettiva disponibilità per il mutuatario.
Tali censure appaiono tuttavia superabili, per quanto attiene alla simulazione, attraverso l’esame, nel caso concreto, della volontà delle parti di concludere effettivamente un nuovo contratto di mutuo, e per quanto concerne la liceità della causa, considerando che essa debba valutarsi alla stregua dello scopo complessivamente realizzato dall’operazione. Sotto tale ultimo aspetto, è pacificamente riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità che l’operazione di finanziamento con dilazione nel tempo dell’obbligo di pagamento è diretta a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico (cfr. ex plurimis: “Tra le finalità di un’operazione di credito fondiario rientra anche quella dell’utilizzazione delle somme ottenute per estinguere un debito precedente verso la stessa banca concedente il finanziamento, non essendo ravvisabile, in tale ipotesi, un uso distorto dello strumento del mutuo fondiario.” – Cass. civ. Sez. III, 12-09-2014, n. 19282).
Altra eccezione in alcuni casi sollevata in relazione al mutuo utilizzato per ripianare precedenti passività, è la nullità del finanziamento per mancato perseguimento dello scopo indicato in contratto, dal momento che lo stesso sarebbe stato utilizzato, nella realtà dei fatti, per ripianare passività pregresse (sul punto Cass. 1517/2021, di cui si dirà anche oltre). A tal fine occorre ricordare che questione ormai pacificamente risolta in giurisprudenza sembra essere quella per cui la mera enunciazione, nell’atto di mutuo, della destinazione che il mutuatario intende dare alla somma erogata non è di per sé idonea a fare sussumere la fattispecie in quella del mutuo di scopo: per integrare il mutuo di scopo occorre, infatti, che la somma venga erogata al mutuatario esclusivamente ed in maniera vincolante per il raggiungimento di una determinata finalità, condivisa dal mutuante, la quale entra a far parte del sinallagma contrattuale. Diversamente si realizza una mera esteriorizzazione dei motivi del negozio, di per sé non comportante una modifica del tipo contrattuale (cfr. Cass. Civ., 15 dicembre 2020-14 aprile 2021 n. 9838; Cass. Civ., ordinanza n. 24699 19 ottobre 2017; Cass. 15929 del 18/06/2018; Cass. Civ., sentenza n. 12123 del 21/12/1990). Peraltro, osserva la Suprema Corte, l’eventuale divergenza dallo scopo indicato in contratto, nell’ambito del c.d. mutuo di scopo “convenzionale”, non è destinato ad incidere sulla validità della fattispecie negoziale, ma sull’esplicazione del sinallagma contrattuale (cfr. Cass. 1517/2021).
Sgombrato il campo da tali eccezioni, la giurisprudenza si è invero soffermata, in più recenti pronunce, circa la corretta qualificazione giuridica da attribuire all’operazione di mutuo ipotecario, avvenuta attraverso concessione di nuovo credito che sia servito, in tutto o in parte, ad estinguere pregresse passività della parte mutuataria nei confronti del medesimo Istituto di credito.
Secondo un orientamento emerso in sede di legittimità (Cass. Civ. 5/08/2019 n. 20896; Cass. Civ. 25/1/2021 n. 1517: entrambe, riconducibili ad un medesimo estensore; Cass. Civ. 8/4/2020 n. 7740) – e da alcuni già definito come “isolato” (rif. Cass. civ., 25/07/2022 n. 23149) – nella fattispecie in esame difetterebbe il requisito della “traditio”, intesa come consegna della somma dal mutuante al mutuatario, per essere messa nella disponibilità di quest’ultimo (di cui all’art. 1813 c.c.).
La conseguenza diretta di siffatta interpretazione è che l’operazione anzidetta non si possa ascrivere al contesto tipologico del mutuo, proprio perché la struttura contrattuale del mutuo comporterebbe la necessità della consegna delle somme di denaro, mentre quell’operazione escluderebbe un trasferimento, consistendo solo nell’appostamento contabile delle somme in modo da modificare, in modo automatico ed immediato, il saldo risultante ex art. 1852 c.c.
Le sopra richiamate pronunce di legittimità – riconducibili ad un singolo filone – ritengono che tale operazione sia qualificabile non quale mutuo bensì quale “pactum de non petendo ad tempus”, comportante solo una modifica accessoria della precedenza obbligazione (diversa scadenziazione e modifica delle condizioni economiche di rientro), senza comportare novazione ed eventualmente – laddove il mutuo fosse ipotecario – acquisendo nel contempo una garanzia prima inesistente.
Dette considerazioni, invero, non convincono chi scrive, e non paiono cogliere nel segno.
Innanzitutto, si osserva che esse potrebbero riguardare, al più, le sole ipotesi in cui l’erogazione del mutuo sia avvenuta attraverso accredito della somma in un conto corrente già gravato di passività, concretizzando una simultanea estinzione di passività ad opera della annotazione contabile in avere corrispondente all’accredito del mutuo. Più difficilmente vi potrebbero rientrare le ipotesi in cui l’erogazione avvenga su un conto avente saldo attivo o saldo zero (tipicamente, un conto appositamente creato) e la relativa provvista sia dunque utilizzata, con relativi diversi flussi in uscita dal conto corrente, per estinguere debiti inerenti ad altri rapporti.
Gli effetti di tale riqualificazione, peraltro, sono molteplici e non sono esaurientemente individuati dalle pronunce in oggetto, se non con riferimento – ad esempio – al procedimento di ammissione al passivo del credito in un fallimento, ove la riqualificazione del mutuo impedisce di ritenere tale titolo sufficiente a supportare, da solo, una domanda di ammissione al passivo che abbia ad oggetto la restituzione di somme di denaro di cui al pregresso debito.
Questione non espressamente trattata e definita pare essere la sorte dell’ipoteca volontaria iscritta a garanzia del finanziamento, oggetto di riqualificazione ex post da parte del magistrato.
Una delle pronunce sopra menzionate, pur senza affrontare apertamente la questione, lascerebbe intendere che in conformità alla tesi della riqualificazione, tali garanzie risulterebbero costituite “per garantire dei debiti che sono già in essere, scaduti o meno che siano” (Cass. Civ. 20896/2019). Le conseguenze opererebbero dunque sul piano della sottoponibilità di tali garanzie a revocatoria fallimentare, ma non sul piano della validità stessa del negozio costitutivo dell’ipoteca.
Invero, la riqualificazione del mutuo quale pactum de non petendo ad tempus comporta, di per sé, la impossibilità di ritenere il negozio costitutivo di ipoteca valido ed efficace, se sorretto dalla volontà delle parti, accessorio ad un “patto modificativo delle condizioni” delle originarie esposizioni. La costituzione di ipoteca volontaria, infatti, spesso è una opzione prevista in ipotesi di ristrutturazioni di posizioni debitorie.
In netta contrapposizione alle sopra delineate tesi si pone la recente Cass. Civ. n. 23149 del 25/07/2022, Pres. De Stefano, rel. Rossetti, la quale prende esplicitamente le distanze dall’orientamento sopra citato relativo alla riqualificazione del mutuo.
Innanzitutto, la pronuncia sconfessa la natura di mera operazione contabile al mutuo con funzione solutoria: “attesa la progressiva dematerializzazione dei valori mobiliari e la loro sostituzione con annotazioni contabili” qualsiasi solutio – scrive la Suprema Corte – si risolverebbe in “partita contabile”: la circostanza fondamentale è che “chi usa il denaro ricevuto a mutuo per estinguere un pregresso debito verso il mutuante purga il proprio patrimonio di una posta negativa: dunque la consistenza del patrimonio del mutuatario cambia, e se cambia è arduo sostenere che non vi sia stato “spostamento di denaro”, come la contraria tesi vorrebbe sostenere”.
La pronuncia focalizza l’attenzione su un principio fondante il nostro ordinamento: il principio di libertà negoziale, che impone il rispetto della volontà delle parti, e che risulterebbe “svilito e mortificato” dalle contrarie tesi che, negando alle parti la facoltà di stipulare specifici accordi di ristrutturazione, impone e cala dall’alto una riqualificazione del contratto di mutuo come “strumento di rinegoziazione”.
Da ultimo occorre menzionare il recentissimo intervento delle Sezioni Unite n. 33719 del 16/11/2022 in tema di nullità del mutuo fondiario per superamento del limite di finanziabilità, ma anche in materia di validità del mutuo a ripianamento di passività e poteri del Giudice di riqualificazione dei contratti.
Le Sezioni Unite, espressamente intervenendo sul dibattito circa la validità del mutuo a riposizionamento di precedenti debiti con lo stesso istituto, dichiarano che “Il mutuo fondiario, inoltre, può essere finalizzato anche a sanare debiti pregressi (cfr. Cass. Sez. I n. 28662 del 2013, sez. III n. 19282 del 2014, sez. III n. 37654 del 2021, sez. III n. 23149 del 2022).” mostrando così di aderire all’impostazione di Cassazione civile, sez. 3, n. 23149 del 2022, che prende le distanze dalle contrarie tesi in ordine alla qualificazione del mutuo quale pactum de non petendo ad tempus.
Proprio in tema di riqualificazione, le Sezioni Unite esprimono inoltre i seguenti principi: “Se le parti qualificano un contratto in un certo modo (ad esempio, come “mutuo fondiario”) sussistendone le caratteristiche essenziali identificative, col deliberato proposito di regolare il rapporto secondo la pertinente disciplina, il giudice, in via di principio, non può disattendere la loro qualificazione a favore di una qualificazione (anche parzialmente) diversa ritenuta più adeguata secondo parametri normativi astratti, a meno che la stessa qualificazione non sia specificamente contestata in giudizio (e quindi rimessa al giudice) o ricorrano le condizioni per la conversione del contratto (art. 1424 c.c.), ma ciò presuppone che ne sia fondatamente contestata la validità e non è questo il caso, essendo stata esclusa la nullità del mutuo fondiario stipulato dai contraenti, in relazione a entrambi i dedotti profili del superamento del limite di finanziabilità e della destinazione della somma mutuata a ripianare passività pregresse (su quest’ultimo aspetto v. sub 8.7).
“Qualora i contraenti abbiano inteso stipulare un mutuo fondiario corrispondente al modello legale (finanziamento a medio o lungo termine concesso da una banca garantito da ipoteca di primo grado su immobili), essendo la loro volontà comune in tal senso incontestata (o, quando contestata, accertata dal giudice di merito), non è consentito al giudice riqualificare d’ufficio il contratto, al fine di neutralizzarne gli effetti legali propri del tipo o sottotipo negoziale validamente prescelto dai contraenti per ricondurlo al tipo generale di appartenenza (mutuo ordinario) o a tipi contrattuali diversi, pure in presenza di una contestazione della validità sotto il profilo del superamento del limite di finanziabilità, la quale implicitamente postula la corretta qualificazione del contratto in termini di mutuo fondiario. (Principio di diritto).
Sulla base dei suddetti principi espressi dalle Sezioni Unite sembrerebbe, pertanto, definitivamente superata e contrastabile la tesi della riqualificazione del mutuo quale pactum de non petendo e, viceversa, riaffermato con vigore il principio di libertà negoziale, riconoscendo dunque la volontà delle Parti di costituire un “vero e proprio” mutuo ipotecario, con funzione di risistemazione di posizioni debitorie pregresse con lo stesso Istituto, come tale pienamente valido ed efficace.
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